di padre Renato Zilio (da La Perfetta Letizia)

Un ampio gesto di aspersione aveva aperto la celebrazione, mentre il vescovo attraversava in ogni senso questa assemblea multicolore. Distribuiva, così, la misericordia del Signore al suo popolo disperso e, finalmente, riunito. La nostra Chiesa cattolica dovrebbe spesso vivere momenti simili di riconciliazione - sembrava ognuno pensare in cuor suo - per non dimenticare la sua vera identità,“una comunità di comunità!”
Toccante la processione delle offerte. Presentare a Dio dei pezzi della propria vita di migranti è sempre qualcosa di semplice e di grandioso. Anche gli aspetti più duri e dolorosi, come una storia quando sa farsi memoria feconda. Ricordare, così, un coraggio vissuto nei primi tempi o una fede grande da spostare i monti e intere esistenze o una speranza così vasta da non conoscere confini: ecco cos’è il nostro migrare!
Tra i doni presentati, una valigia di cartone: pesantissima, pur essendo vuota, portata con emozione da un portoghese. Carica, tuttavia, di illusioni, di speranze e di rimpianti senza fine. Ricordo delle tante tristi avventure e simbolo straordinario di quell’energia interiore che trasportava migliaia di esseri umani qui, un altro mondo...

Avanzavano anche un grande secchio e degli spazzoloni, portati con volto serio e un bel passo deciso da due donne latino-americane. Guadagnarsi la vita facendo le pulizie non sembri cosa di poco conto... e per loro è una grazia e un impegno, ma è anche sfuggire all’inerte miseria delle loro terre. Come un dono, ancora, veniva presentato... un permesso di soggiorno! Sì, quel tempo limitato, contato, concesso con il contagocce, in una ricerca instancabile da parte di esseri umani della propria dignità. Un enorme pane e il vino, infine, suggerivano la loro solidarietà. Tra tutti i presenti si raccoglieva, allora, l’offerta da portare alla popolazione carceraria, di cui la metà di origine straniera. Ed era per significare, in questo modo, la nostra presenza e il nostro incoraggiamento a trovare una loro... via d’uscita!
Celebrare tutto questo con canti e ritmi differenti - esprimendo la propria identità e la gioia di farlo nella propria lingua - ha tonificato il cuore di ognuno e il senso ecclesiale di appartenenza. Ha saputo raccogliere la terra intera tra le pareti di una chiesa, sotto il segno della fraternità. E ha voluto far posto nella preghiera, pure, alla sofferenza di chi vive clandestinamente tra di noi. Privo di quella forza che fa vivere un essere umano: il riconoscimento degli altri.
Alla fine, come a un ordine invisibile, tantissimi si portavano davanti all’assemblea, tenendo in mano, alta, una madonna venerata nella loro terra come il Portogallo, l’Argentina, il Messico... e sottovoce iniziava un canto a Maria. Donna unica per la sua eccellenza nella storia degli uomini e in quella di Dio, dopo aver camminato una vita intera e perfino in terra di esilio, fu proclamata madre di Dio. Ora, invece, con emozione corale, nostra madre dei migranti! Trovarsi di fronte a una selva di statue di ogni tipo e bellezza, sollevate da mani e da un canto sempre più vibrante, furono per tutti indimenticabili istanti.
Una bicchiere colmo di simpatia, infine, concludeva una celebrazione dai colori dell’arcobaleno. In seguito, molti dicevano l’uno all’altro adeus, goodbye, adiòs... ma nello sguardo vi si leggeva semplicemente un arrivederci. Eh sì, far riscoprire a una Chiesa uniforme la ricchezza delle sue differenze è un miracolo da ripetere più spesso... e ricorda, per qualità, quello dell’acqua trasformata in vino!
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